SCARAFAGGIO E PICCOLOCERVO
Scarafaggio si nutre d’immondizia, vive tra i sacchetti maleodoranti e pieni d’ogni sporcizia. Si inzuppa di fango e croste, scorrazza tra le fogne e i tubi giallo ruggine incatramati.
Quasi impossibile per Scarafo assaporare tra le zampe la gocciolante freschezza della rugiada: non conosce il verde vivace degli steli d’erba profumata di tiglio. Continua a vagare noncurante, avvolto di squallida naturalezza; senza per nulla accorgersi della sua goffaggine.
Un giorno Scarafaggio, a corto di cibo, si imbatte tra le acque putride di uno stagno. Non fa in tempo a far capolino da un sasso, che subito qualcosa di velocissimo attraversa la palude: è ricoperto da un manto giallo scuro maculato, un minuscolo miscuglio di nonsicapiscebenesubito mai visto prima.
Scarafo scorge quell’incanto sfiorare uno stelo d’erba rinsecchita e posarsi un attimo; non riesce a resistere: lo scambia per un tubo arrugginito punteggiato di nero e si avvicina ruzzolando.
Piccolocervo si irrigidisce sempre più immobile, appena il tempo di girare gli occhi vispi: quel tanto che basta per rendersi conto di quell’ingorda macchia nera che gli zampetta addosso goffa e compiaciuta.
Giusto il tempo di percepirne l’odore e Piccolocervo fugge intimidito, quasi volando. Scarafo si vede sfilar via da sotto quel grumo di pelo; aumenta la presa ma stringe solo l’aria e scivola a terra.
Che spettacolo quel pudu1 che saltella di ciuffo in ciuffo con grande abilità, i suoi piccoli puntini neri germinano lievi tra il suo pelo morbidissimo e si riempiono di luce.
Immerge il naso tumido tra le zolle di terra, cerca tra le bacche il rosso più acceso e assapora rapido i chicchi più succosi; tenero e buffo beve al ruscello e si nasconde tra gli alberi. Raggiunge un cunicolo di terra e si eclissa sotto il suolo.
Scarafo è senza parole, si scorda perfino d’aver fame e si affretta per raggiungere il pudu dove l’ha visto scomparire.
Percorre quella strada infinita che Piccolocervo ha fatto in un lampo. Sogna di essergli addosso per muoversi veloce come il vento; mentre rivoli innumerevoli di pioggia e fango si scatenano copiosi contro il suo corpo rigido.
Stremato, arriva finalmente all’apertura della sua tana; ma lo accoglie solo il buio più nero e profondo. Coraggioso decide, senza pensarci troppo, di lasciarsi cadere giù; per avventurarsi e curiosare meglio.
Avvezzo allo scuro dei tubi giallo ruggine, si fa strada fino ad un ampio vano in uno spazio sottostante. Piccolocervo è addormentato: due zampine gli coprono di poco il musetto avvolto nel sonno.
Il suo profilo è guardingo e pronto allo scatto in ogni fibra. Da un attimo all’altro potrebbe destarsi e sparire; e tutto l’incanto svanirebbe in un batter d’occhio.
I piccoli cervi ci mettono davvero poco ad infiltrarsi negli strati più sotterranei del suolo, là dove nessun nemico può turbarli. Si difendono da tutti gli estranei, da ogni creatura del bosco; temono la pioggia, le emozioni forti, gli spaventi, la luce del giorno. Escono quasi sempre di notte.
Scarafo si avvicina ancora un po’. Vorrebbe scavarsi un varco tra il morbido pelo, sfiorare il suo manto, attratto da quel fulvo bagliore; annidarsi sotto pelle senza troppi clamori.
Ma Scarafo si sente inadeguato, goffo, fuori luogo: le zampe nere, il corpo inequivocabilmente putrido; non può neppure sopportare l’idea di rovinare con il suo tuffo grottesco, quel magnifico insieme di stupore.
Scarafo si fa presto da parte, scava un po’ di terriccio in un cantone; si infila sottocoperta e rimane nascosto a guardare da un piccolo spiraglio. L’incanto di quel naso timido, il muso buffo e serafico nella stessa pennellata, gli occhi saporitamente chiusi; quel corpo tanto indifeso da sembrare nudo.
Badando bene di non tradirsi, rimane accanto al pudu per un tempo infinito, senza muoversi e senza fiatare, scordando se stesso e il suo flaccido involucro; fino a dimenticare ogni azione quotidiana, dozzinale, ripetitiva: tanto indispensabile quanto fasulla.
Gradualmente, ora su ora, un afrore indefinibile ha lento sopravvento su ogni cosa. Scarafo percepisce quasi un odore avvolgente che lo pervade ovunque: un intenso selvatico di felci e rugiada; molto poco domestico e per niente comune.
Vinto dall’ammirazione, ascolta la frequenza del battito cardiaco di Piccolocervo e si assopisce dolcemente.
Sogna, sogna di avere un corpo aggraziato, due zampe veloci e un mantello di pelo.
Sogna forme nuove e inconsuete, zampe libere, districate dalla prigione del suo ventre; sconosciute, piene di carezze d’acqua e baci d’aria.
Sogna fino a lambire l’orizzonte con lo stesso esile cuore di Piccolocervo. Sogna mentre il pudu si sveglia, neppure lo scorge; ed è già in superficie, in corsa verso un prato rigoglioso.
Nell’uscire dall’angusto anfratto di terra, muove alcune zolle e Scarafo si ritrova ricoperto di terriccio e radici d’erba; luci e rumori sembrano affievoliti, quasi lontani.
Con le membra indolenzite, il corpo intorpidito; Scarafo si scopre avvolto dal sottosuolo e improvvisamente non ha più voglia di nutrirsi, di dormire, di svegliarsi. Resta inebetito ad annusarsi intorno come se nulla avesse più senso al di là del suo pudu.
Non ha nemmeno più voglia di uscire da quel nascondiglio, prova a spiluccare qualche bacca rossa che Piccolocervo ha lasciato nel rifugio; incurante di tutte le cibarie che avrebbe potuto scovare nel suo lento peregrinare: assai più di qualche misera bacca rinvenuta per sbaglio!
Scarafo si scorda d’essere sempre affamato, non pensa più d’essere sporco; e guardare il suo pudu da vicino senza farsi notare, sembra essere la sua occupazione preferita.
Si accontenta di seguirlo, vive dei suoi gesti, di quelle piccole scoperte che fanno di un cucciolo un adulto; con la segreta speranza di essere apprezzato per la sua discrezione, la sua eterna modestia.
Un giorno Scarafo, facendo più piano possibile, esce dal nascondiglio per ammirare meglio il suo cupìdo; ma più piano del piano non è abbastanza: Piccolocervo lo scorge nel buio, brilla di lacrime e scappa, fugge lontano.
Abbandona la sua tana senza soffermarsi troppo sulla decisione. È già via, quando si volta di poco, un brevissimo istante: quanto basta per intravedere Scarafaggio triste e stordito che continua a fissarlo con rammarico; un balenìo, quasi una scintilla d’acqua sempre più fievole in lontananza.
Scarafo riprende la sua inesorabile marcia, avvinto dalla stanchezza, ogni giorno più triste. Con le poche forze rimaste, si arrampica in direzione della goccia caduta: la lacrima di Piccolocervo!
Eccola quella goccia lambirgli le zampe, finalmente poggia il suo corpo sopra quell’umidore scivolato al suolo e chiude gli occhi in un sorriso.
Solo uno scarafaggio in tutta la radura è riuscito a socchiudere gli occhi su una lacrima di cervo. Solo uno scarafaggio è riuscito a perdersi in qualcosa di così distante dalla sua natura, fino quasi a diventare per un attimo un altro.
La vista di un insetto saprofago è molto corta, il suo manto troppo sporco. Non ci sono occhi di scarafaggio per quanto scuri, per quanto chiari, né orecchi di scarabeo per quanto duri, per quanto rari; che potranno mai capire il rosso sfuggente, lo sguardo brillante, il tenero cuore di un piccolo cervo. Solo un assurdo scarafaggio di palude ha scordato d’essere un ruzzola sterco.
Solo uno scarafaggio è riuscito a guardare oltre ma la luce del mattino pigra e regolare gli ricorda presto, come piombo sulle spalle coriacee eppure così fragili, che in fin dei conti è solo uno scarafaggio, uno sporco insetto di palude.
Lento e normale Scarafo si sveglia sbadigliando e ritenta da oggi in poi di essere se stesso; felice di aver incontrato in un batter d’occhio l’altra faccia dell’amore.
1Pudu: nome di una piccola specie di cèrvide che misura al massimo ottantacinque centimetri e può pesare tra i dieci e i quindici chili.
scritta e ideata da Claudio Quinzani
illustrazione di Dario Bonaffino
Torna indietro